Gerardo Dottori nacque a Perugia l'11 novembre del 1884 da una famiglia di estrazione popolare. Primogenito di quattro figli, il padre Ezio era artigiano materassaio, la madre, Colomba Luisa Gambini morì quando Gerardo aveva solo otto anni lasciando la famiglia in una situazione economica difficile. Terminate le scuole elementari, Gerardo si iscrisse giovanissimo ai corsi serali dell'Accademia di Belle Arti di Perugia, insieme al suo grande amico d'infanzia (perché vissuti entrambi in corso Cavour) Ferdinando Marconi, lavorando al contempo presso il negozio di antiquariato e restauro di Mariano Rocchi. Iniziò quindi l'attività di decoratore trasferendosi temporaneamente a Milano tra il 1906 ed il 1907. Tornò quindi agli studi accademici e dal 1908 cominciò a frequentare ambienti artistici d'avanguardia a Firenze. Nel 1910 iniziò a collaborare con la rivista La Difesa dell’Arte.
Nel 1911 andò a Roma dove conobbe Giacomo Balla, aderendo al Futurismo. Nel 1912 riunì il primo gruppo futurista umbro, e nel 1915 partì arruolato per la Grande Guerra. Nel 1920 fondò la rivista futurista Griffa!, che si prefiggeva il compito di diffondere le idee del movimento a Perugia. Nello stesso anno espone a Roma la sua prima personale.
Nel 1924 fu il primo futurista ad esporre alla Biennale di Venezia. Nel corso della sua vita Dottori parteciperà in tutto a 10 edizioni della Biennale.
Il suo apporto maggiore al movimento futurista fu dedicato all'Aeropittura: ne figurò infatti tra i firmatari del Manifesto dell'aeropittura (firmato dal solo Marinetti nel 1929), sottoscritto nel 1931 insieme a Marinetti, Balla e Prampolini, i maggiori esponenti del movimento.
Tra il 1925 e la fine degli anni trenta visse a Roma scrivendo su varie riviste d'arte. Nel 1932 è citato come primo esempio di artista futurista impegnato anche in soggetti sacri nel Manifesto dell'Arte Sacra Futurista firmato da Marinetti e Fillia.
Nel 1939 vinse la cattedra di Pittura all'Accademia di Perugia, dirigendola sino al 1947, e sempre nell'anno della nomina decorò l'abside della chiesa di Santa Maria Maggiore di Bettona. Nel 1941 in piena guerra mondiale scrisse il Manifesto umbro dell'aeropittura, dove chiarì che la vera essenza del suo futurismo risiedeva nel rappresentare ambientazioni e paesaggi misticheggianti.
Rimase sempre fedele al futurismo, anche dopo il declino di quest'ultimo ed al suo "paesaggio totale". Negli ultimi anni, in particolare, le sue opere compaiono nelle principali retrospettive sul futurismo sia in Italia che all'estero. Morì nel capoluogo umbro nel 1977 e venne sepolto nel Cimitero monumentale di Perugia, nella sezione riservata ai cittadini illustri.
I maggiori risultati li ottenne raffigurando paesaggi e visioni della sua terra, l'Umbria, per lo più con immagini percepite da grandi altezze, tra le più famose ricordiamo Primavera umbra ed Incendio in città, entrambe dei primi anni venti; quest'ultima è esposta presso il Museo civico di Palazzo della Penna di Perugia dove sono conservate numerose opere dell'artista.
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